Non ci sono lancette o buio che tengano quando si sviluppa questa condizione: per fare un esempio pratico è il caso dei piccoli che non vogliono mai andare a letto o tendono ad addormentarsi soltanto a notte fonda.

La sindrome da fase di sonno ritardata, nota anche con la sigla DSPS (Delayed Sleep Phase Syndrome) è dunque un disturbo che, per definizione, persiste oltre 6 mesi e che “costringe” a prendere sonno a tarda notte e di conseguenza a svegliarsi al mattino inoltrato.

I suoi elementi caratterizzanti sono perciò incapacità di addormentarsi, difficoltà a svegliarsi in orario e, in alcuni casi, sonnolenza diurna o depressione, con un impatto sulla resa scolastica – di notevole rilevanza per bambini e soprattutto adolescenti, di cui si stima siano interessati dal 7 al 16% – o sulla produttività lavorativa (in età adulta sono più spesso colpite le donne di mezza età).

Le cause comuni di questo disturbo sono abitudini irregolari, costrizione a letto per lunghi periodi, permanenza al buio, jet-lag, alterazioni cerebrali.
Alcuni esperti ipotizzano inoltre che gli individui che soffrono di questa sindrome abbiano ritmi circadiani più lunghi della media, per cui si ritrovano sfasati rispetto alle normali attività.

Le soluzioni sono molteplici e partono dall’instaurazione di un adeguata igiene del sonno, prevedendo anche il ricorso alla melatonina e alla luminoterapia (un trattamento che prevede l’uso di una particolare lampada o di occhiali indossabili dotati di un emettitore di luce blu, per bloccare la secrezione di melatonina e cercare di regolarizzare il ritmo sonno-veglia).

Ovviamente spetta al medico valutare l’approccio più indicato al singolo individuo, che in alcuni casi si può basare anche sull’associazione di più strategie.